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All'alba del 22 luglio 1944, Dante Castellucci viene giustiziato da un plotone d'esecuzione. Ha appena ventiquattro anni, ma la sua biografia è già ricca e intrecciata a doppio filo con le vicende della nazione e della Resistenza italiana. Emigrato da bambino in Francia, al rientro in Italia Dante aveva partecipato al conflitto mondiale sulle Alpi e lungo il Don. Aveva poi disertato, scegliendo di combattere per la libertà: inizialmente quale braccio destro di Aldo Cervi, poi al comando del battaglione "Guido Picelli" della Brigata Garibaldi parmense, in cui si distinse per il carisma e le straordinarie capacità operative. Facio - questo il nome di battaglia - fu protagonista delle azioni militari sull'Appennino tosco-emiliano, che ne fanno ancora oggi un autentico eroe presso le comunità della Lunigiana e dall'alta Valle del Taro. E sono quelle stesse comunità a bollare a tutt'oggi con disprezzo gli uomini che ne vollero la morte, finora avvolta nel mistero. A giustiziarlo, infatti, non furono né i tedeschi né i fascisti, ma i suoi stessi compagni di lotta, dopo un processo-farsa alla cui sentenza nessuno ha mai creduto.